In questo articolo, Felice Olivesi, storica del giardino e del paesaggio, si sofferma sul rapporto tra la foresta e gli animali. Su come l’uomo nel tempo abbia condizionato questa relazione, sottolineando infine, a salvaguardia della biodiversità, la necessità che in futuro gli esseri umani sappiano far in modo che agli animali sia data la possibilità di vivere liberamente in una loro propria foresta.

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Animali, la foresta in condivisione?

Non c'è foresta senza animali. Senza di loro, l'ecosistema collasserebbe e il paesaggio forestale, con la sua speciale atmosfera, non esisterebbe. Tutti gli animali della foresta, dai meno conosciuti ai più emblematici, sia direttamente che indirettamente, hanno questo duplice potere: contribuire alla salute e alla bellezza dei boschi. Pensiamo, ad esempio, agli uccelli che diffondono i semi e il cui canto risuona così piacevolmente sotto gli alberi, o alla microfauna del suolo che trasforma la materia morta in substrato fertile, operazione che produce il tipico profumo del sottobosco dopo la pioggia.

Al di là di questo, nonostante vivano per natura lontano dalle nostre case, gli animali della foresta occupano un posto importante nella nostra società occidentale: popolano le storie dei bambini, i racconti più o meno leggendari del passato e il nostro attuale immaginario collettivo, sono oggetto di un intenso dibattito intorno a vari temi, come la caccia o i programmi di protezione della natura. Sono, beninteso, un elemento indissociabile dell'idea di foresta primaria, al centro del progetto della nostra associazione. Per questo motivo, non potevamo non dedicare loro una puntata.

La ricerca sulla storia degli animali è ancora agli inizi. Les animaux ont une histoire di Robert Delort, pubblicato nel 1984, è stato un lavoro pionieristico. Questo spiega perché, ancora oggi, i dati che possiamo trovare e che sono oggetto di questo articolo riguardano principalmente animali emblematici che hanno avuto un ruolo importante nella nostra storia.

Come abbiamo visto nel corso di questa rassegna, le foreste dell'Europa occidentale portano il segno dell'uomo. Gli animali, in quanto membri a pieno titolo della foresta, ne sono quindi logicamente interessati. In che modo la nostra presenza e le nostre attività li hanno influenzati? Quali sono, e quali sono state in passato, le relazioni tra la nostra società, le nostre foreste e gli animali che le abitano?

Risvegliamo la nostra memoria comune prestando attenzione questa volta agli animali.

Fauna in movimento: spostamenti, trasformazioni, estinzioni

Ogni specie animale è legata a un particolare ambiente. Questo ambiente soddisfa le sue esigenze vitali in termini di clima, copertura vegetale, cibo e acqua, riparo e presenza o meno di altre specie. Se il loro ambiente cambia, alcuni animali si spostano per trovare un nuovo territorio più adatto. Altri, in grado di adattarsi, restano fermi. Infine, se non è accessibile un luogo adatto e la specie non può adattarsi, scompare.

Questo processo di spostamento, trasformazione o scomparsa è naturale. Lo si può osservare, ad esempio, nel susseguirsi di ere glaciali e periodi più caldi che hanno segnato il passato del pianeta. Si è trattato di un fenomeno lento e graduale, in cui la fauna è cambiata di concerto con l’ambiente per tenere il passo dei cambiamenti di temperatura e la morfologia della Terra. Nella storia della Terra, quando si sono verificati cambiamenti improvvisi, questi hanno colpito le specie animali e i loro habitat con lo stesso rapido impatto, talvolta provocando estinzioni di massa; in passato se ne sono verificate cinque. Gli scienziati ritengono che oggi potrebbe essercene una sesta, con un ruolo significativo dell'uomo.

Ma concentriamoci sulle nostre foreste.

Alla fine dell'ultima era glaciale, circa 12.000 anni fa, le temperature nell'Europa occidentale cominciarono ad aumentare, causando l'arretramento della steppa verso nord e il ritorno della foresta da sud. Alcuni animali dell'era glaciale, come i mammut, si spostarono a nord, dove le condizioni erano ancora adatte alla loro sopravvivenza; altri, come l'orso bruno e il cinghiale, precedentemente confinati nelle aree più miti dell'Europa meridionale, videro il loro areale espandersi notevolmente.

Come abbiamo visto nelle precedenti puntate della nostra rassegna, l'Homo sapiens era già presente in Europa occidentale durante l'ultima era glaciale; una delle specie rimaste e in grado di adattarsi al successivo aumento delle temperature e ai conseguenti cambiamenti ecologici. Diversi millenni dopo, nel Neolitico, la popolazione divenne sedentaria, la sua demografia si impennò e il suo impatto sulla foresta assunse una nuova dimensione. L'uomo iniziò a trasformare il suo territorio, un po' come le precedenti grandi dinamiche climatiche, ma su periodi di tempo molto brevi e su aree ristrette. Si frammentarono gli ambienti, modificarono gli ecosistemi e si colpirono le specie animali e vegetali. Le conseguenze per la fauna forestale furono notevoli.

L'uomo neolitico ha avuto un impatto sull'ambiente attraverso una serie di processi: lo sfruttamento del territorio, la caccia e la domesticazione di specie animali e vegetali.

La sedentarizzazione comportò la costruzione di edifici permanenti. L'agricoltura richiese il disboscamento di parti della foresta per coltivare i campi. L'allevamento occupò i prati scacciando gli erbivori originari. Queste attività richiesero delle protezioni contro le incursioni degli animali selvatici: protezioni passive, come recinzioni e fossati, e protezione attiva, come le trappole e la caccia. Questa profonda trasformazione dell'ambiente naturale portò gli animali a spostarsi, dentro e fuori dall'area in cui stanziavano. Alcuni fuggirono dal loro habitat degradato e dalla minaccia delle attività umane e si rifugiarono nella foresta; alcune specie legate ai prati apprezzarono l'apertura delle radure e vennero a insediarvisi, altre ancora diventarono ospiti indesiderati dell'uomo, come i roditori, attratti dalle riserve di grano. Nella parte di foresta utilizzata dall'uomo avvenne lo stesso fenomeno e, ancora oggi, i ricercatori sono in grado di notare la scomparsa e la ricomparsa di specie animali a seconda del modo in cui il bosco viene sfruttato. Il picchio nero, ad esempio, che ha bisogno di grandi alberi per il suo habitat e che ha prosperato per tutta la prima parte dell'Olocene, ha iniziato a diminuire sotto la pressione del disboscamento a partire dal Medioevo, per poi tornare in auge nel XX secolo, grazie all'invecchiamento delle foreste e alla diminuzione del disboscamento. Anche la civetta di Tengmalm, [Civetta capogrosso N.d.T.] una specie settentrionale, ha beneficiato dell'invecchiamento degli alberi nel XX secolo e ha colonizzato nuovi territori nel Massiccio Centrale seguendo le orme del picchio nero, di cui sfrutta le cavità.

L'addomesticamento delle specie animali nel Neolitico portò un'altra novità: per la prima volta entrarono nella foresta animali non selvatici e non autoctoni. Le pecore, le capre e le mucche allevate in Europa occidentale erano originarie del Vicino Oriente. I maiali, anch'essi portati dall'Oriente, si sono spesso mescolati in Occidente con i cinghiali addomesticati. Le mandrie, spesso portate nella foresta per nutrirsi, entrarono in contatto con specie selvatiche autoctone. Alcuni individui sfuggiti dal branco domestico formarono popolazioni stabili in grado di mantenersi e di riprodursi, talvolta ibridandosi con specie selvatiche. Questo fenomeno, noto come "marronage" o "feralità", riguarda, ad esempio, il muflone corso, introdotto nell'isola nel VI millennio a.C. come pecora domestica, il gatto selvatico e, più recentemente, il parrocchetto dal collo ad anelli, originario dell'Africa tropicale e dell'Asia.

Le nuove attività delle società sedentarie, combinate con la caccia, portarono alcune specie all'estinzione, e altre molto vicine ad essa. La "defaunazione", la graduale scomparsa degli animali, sembra essere iniziata con la megafauna, metà della quale scomparve tra 50.000 e 7.000 anni a.C.. In Australia, l'improvviso declino della megafauna corrispose all'arrivo dell'Homo sapiens sul continente insulare. Successivamente, più l'uomo estese il suo territorio e il suo controllo su di esso, più gli animali selvatici persero terreno.

L'uro, un bovino selvatico, era originariamente un animale da pascolo. La presenza di popolazioni umane, e in particolare l'installazione di recinti per il bestiame, lo ha spinto a fuggire nella foresta. Era facile preda per i cacciatori ed anche suscettibile alle malattie delle mucche domestiche, facilmente trasmesse dalla vicinanza delle mandrie. La sua popolazione iniziò a diminuire in direzione ovest-est e alla fine del XII secolo era già scomparsa dal territorio francese. A partire dall'Alto Medioevo, a causa del suo declino, la caccia all'uro fu riservata a re e signori. L'ultimo uro venne ucciso nel 1627 da un bracconiere in una foresta polacca, dopo che il resto della popolazione locale aveva ceduto a un'epizoozia trasmessa dai bovini della zona circostante. L'uro non è mai stato addomesticato in Occidente, ma lo è stato in Oriente, dove è l'antenato delle mucche domestiche, introdotte in Europa occidentale nel Neolitico. È a partire dal genoma delle mucche di oggi che si stanno conducendo esperimenti per ricostituire la specie estinta, o almeno un animale che le assomigli.

Il cavallo, di cui si sono perse le tracce allo stato selvatico nel 3000 a.C. e l'alce, scomparso dalla Francia nel X secolo, sono altri esempi di animali provenienti da aree aperte che, come l'uro, si sono adattati alla foresta per un certo periodo prima di scomparire.

Il bisonte europeo è sfuggito per poco al destino dell'uro. Animale delle foreste aperte delle pianure e delle colline, ha visto il suo areale ridursi a ovest fino a scomparire dal territorio francese nel corso del primo millennio d.C.. La sua presenza nei Vosgi è menzionata in documenti risalenti al V-VIII secolo. Nella parte orientale dell'Europa, la specie è scomparsa in natura* negli anni '20 del Novecento e oggi sopravvive solo negli zoo. Questa popolazione, allevata in cattività dal primo grande programma scientifico di conservazione degli animali in Europa (1923) e gradualmente rilasciata in natura, forma popolazioni selvatiche in Polonia e nei Carpazi (Polonia, Ucraina, Romania, Bulgaria). La specie, che conta circa diecimila individui, la maggior parte dei quali allo stato selvatico**, è stata ora rimossa dalla lista rossa dell'IUCN, [Unione Internazionale per la Conservazione della Natura N.d.T.] ma rimane geneticamente fragile e, sebbene rappresenti uno dei maggiori successi di conservazione del nostro continente, ci si chiede ora se sia opportuno reintrodurla in ambienti a lei non favorevoli. Anche la lince boreale, il lupo, l'orso e il cervo rosso hanno subito un drastico declino rispetto al loro areale originario, prima di fare un timido ritorno - nel caso dei primi tre - nella seconda metà del XX secolo, a seguito di programmi di protezione o reintroduzione.

La fauna è quindi naturalmente in movimento, ma il suo ritmo si è notevolmente accelerato sotto l'influenza dell'uomo che, fin dagli inizi della sua vita sedentaria, ha spostato, trasformato o eliminato intere specie per costruire le sue comunità, proteggere il suo bestiame o coltivare il suo cibo. Tuttavia, queste ragioni pratiche non sono le uniche ad aver influenzato il destino degli animali; come spesso accade, l'immaginazione ha giocato un ruolo importante, ed è quello che vedremo ora.

Un destino simbolico: l'animale demonizzato

In L'Ours, histoire d'un roi déchu, Michel Pastoureau mostra lo stretto legame tra la storia degli animali e quella dell'uomo. Per lo storico, "la storia naturale è solo un ramo della storia culturale". Il destino dell'orso bruno ne è un buon esempio.

L'orso bruno, Ursus arctos, può misurare tra 1,70 m e 2,50 m di altezza e pesare tra 70 e 270 kg. Animale potente, non ha predatori tra la fauna. Utilizza i denti e soprattutto gli artigli per cacciare, arrampicarsi e difendersi. All'inizio dell'Olocene, dopo la fine dell'ultima era glaciale, gli orsi vivevano in tutte le zone temperate dell'emisfero settentrionale. Gli orsi del passato, secondo i resti ritrovati, sembra fossero più grandi dei loro discendenti moderni, arrivando a pesare fino a 500 kg. Erano inoltre in gran parte carnivori, mentre gli orsi di oggi sono principalmente vegetariani. L'orso bruno è oggi molto raro in Europa occidentale, dove vive confinato nelle regioni montane più isolate. In Francia è classificato come "a rischio di estinzione". Secondo i paleontologi e gli archeologi, la popolazione non era diminuita significativamente fino all'inizio dell'era cristiana.

Qual è stata la causa di questa inversione di tendenza? Ripercorriamone la storia.

L'orso era ben presente nell'immaginario delle società precristiane. Nella grotta di Regourdou, nel Périgord, sono stati ritrovati insieme nella stessa tomba i resti di un Neanderthal e di un orso bruno, una sepoltura congiunta che risale a circa 80.000 anni fa. L'orso era venerato da molti popoli con rituali spesso sfrenati, violenti e trasgressivi. Nell'antico mondo germanico, ma anche in misura minore tra i Celti e gli Slavi, l'orso costituiva un attributo regale, il fondatore di una dinastia, un essere intermedio tra l'uomo e la bestia. Nell'antica Grecia, l'orso era considerato un animale molto vicino all'uomo, sia biologicamente che simbolicamente: l'eroe Ulisse discendeva da un'orsa. Presso i popoli germanici e scandinavi, i giovani guerrieri dovevano uccidere un orso in combattimento per poter essere ammessi nella comunità degli uomini. La tradizione persistette anche dopo l'affermazione del cristianesimo e la leggenda narra che Goffredo di Buglione, durante la Prima Crociata del 1099, uccise un orso mentre si recava a Gerusalemme, dove fu eletto re. I numerosi riferimenti all'orso nel nostro vocabolario testimoniano l'importanza che gli veniva attribuita come simbolo di forza e regalità. La radice indoeuropea "art" per animale (così come arct-ars-ors-urs) si ritrova nel leggendario Re Artù. Tra i Celti e gli Scandinavi, dove il nome era considerato un tabù, si usavano circonlocuzioni come la radice nordica "Ber" che significa "marrone" o la radice celtica "Math" o "Matus" ("virile e benevolo"). L'orso si ritrova nei nomi di battesimo Bernard, Adalbert, Mathieu, Mathurin, Martin, Ursule... alcuni dei quali, in particolare Mathurin e Martin, furono spesso attribuiti, qualche secolo dopo, agli orsi dei serragli reali e a quelli esposti nelle fiere.

L'immenso prestigio dell'orso e il posto che occupava nella vita quotidiana dei popoli pagani rappresentarono un grosso ostacolo alla cristianizzazione dell'Occidente. Nella Chiesa cristiana esistevano due posizioni sugli animali: una considerava tutti gli animali creature di Dio, esseri innocenti, fratelli e sorelle dell'uomo, nei quali si esprimeva il messaggio divino; l'altra metteva in contrapposizione gli animali e l'uomo: il cristiano doveva distinguersi dalla bestia per le sue virtù cristiane, che trovavano il loro corrispettivo nei vizi attribuiti agli animali. La seconda visione prevalse, e va detto che servì agli scopi dei primi evangelizzatori molto meglio della prima. Sant'Agostino, uno dei Padri della Chiesa a cavallo tra il IV e il V secolo, di cui Michel Pastoureau ha rilevato la "zoofobia", si spinse oltre: per lui "Ursus est diabolus", l'orso è il diavolo. Secondo Pastoureau, il diavolo e i suoi demoni potevano assumere sembianze ingannevoli e incarnarsi in un certo numero di creature dall'aspetto strano: escrescenze come corna, squame, pustole, artigli potenti, peli abbondanti o setolosi, somiglianza con gli esseri umani, ecc. Bisognava diffidare di serpenti, rospi, capre, ricci, gufi, cinghiali, lupi e, naturalmente, orsi.

Questa concezione ha avuto un peso enorme per tutto il Medioevo e ripercussioni nel mondo reale. Ad esempio, durante il regno di Carlo Magno, l'orso fu cacciato metodicamente, soprattutto in Germania, dove l'animale era profondamente venerato. L'obiettivo era dimostrare la superiorità di Cristo sugli dei pagani. Due campagne in particolare, dopo le vittorie di Carlo Magno sui Sassoni nel 773 e nel 785, si dice che abbiano provocato l’uccisione di diverse migliaia di animali. Lo stesso approccio fu applicato ai luoghi sacri pagani, compreso l'abbattimento di boschi sacri e alberi secolari.

Oltre alla demonizzazione e allo sterminio, la strategia anti-orso aveva un terzo obiettivo: rendere l'animale ridicolo e spregevole. A differenza delle battaglie dell'antichità romana, in cui l'orso veniva contrapposto a un toro o a un leone e ne usciva vittorioso, rafforzando così l'idea della sua forza nell'opinione pubblica, a partire dal XII secolo l'orso venne esibito nelle fiere, dove era costretto a danzare e a compiere acrobazie contrarie alla sua morfologia. Le cadute e i grugniti dell'orso erano oggetto di scherno da parte del pubblico e la reputazione di animale goffo e ridicolo prese piede. La sua figura è stata illustrata nella narrativa nel Roman de Renart del XIII secolo, dove incontriamo Brun, un orso spaventato e stupido che si mette sempre in situazioni ridicole, mentre Re Nobile, la figura del potere e della forza, è rappresentato da un leone. È infatti nel XIII secolo che l'orso cade definitivamente dal suo trono simbolico di re degli animali e viene sostituito dal leone nell'immaginario occidentale.

Nell'indottrinamento cristiano dei fedeli, le virtù e i vizi potevano essere rappresentati da animali. È in questo stesso periodo, nel XIII secolo, che viene istituito il bestiario dei vizi, modellato sulla base dei sette peccati capitali. Non sorprende che l'orso fosse l'animale con il maggior numero di peccati: lussuria, ira, invidia, accidia e gola. Tra gli altri animali della foresta, lo scoiattolo è ritenuto avido e pigro, il cinghiale irascibile, la lepre colpevole di lussuria, la volpe avida e invidiosa, la formica e la talpa entrambe avide, la gazza invidiosa, il corvo e il lupo avidi, ecc... Tutto questo, distillato nella vita quotidiana, alla fine divenne indipendente dalla religione e passò nell'immaginario comune, nelle favole, nelle filastrocche per bambini e nella superstizione.

Per uscire da questa rappresentazione dell'orso, va notato che il destino simbolico del cervo fu diametralmente opposto: la carne di cervo non era apprezzata e i cacciatori rinunciavano a questa selvaggina, considerata inafferrabile. I chierici e i prelati incoraggiarono la caccia al cervo per contrastare l'orso, che stava perdendo il suo prestigio, rilanciando un simbolismo che associava l'animale a Cristo, al cristiano e all'innocenza. Il cervo, e il capriolo sulla sua scia, venne a ad incarnare nobiltà, maestosità e coraggio, e la sua carne, riflesso di tutto questo, molto pregiata.

Il destino dell'orso bruno, vittima collaterale della lotta per imporre il cristianesimo in Europa, mostra il potere del discorso simbolico quando si tratta di plasmare l'immaginario. Per Michel Pastoureau, "la Chiesa ha sferrato un colpo potente, riuscendo a trasformare una bestia ammirata e temuta in una creatura grottesca e odiata". Con le conseguenze concrete che abbiamo appena visto. Fino al XVII secolo, in alcune zone montane, l'uccisione dell'orso faceva parte dei tributi che le comunità dovevano al loro signore.

In realtà, l'orso era raramente un pericolo per l'uomo: non era molto prolifico, era solitario e preferiva stare lontano dalle abitazioni, quindi bisognava minacciarlo nel suo territorio perché reagisse. Altri animali, invece, davano fastidio all'uomo in modo molto più concreto. Tra questi, il più importante di tutti i "nocivi", era il lupo, Canis lupus. Anch'esso demonizzato dalla Chiesa, non aveva bisogno di questa immagine negativa per suscitare l'odio umano: per molto tempo, con un misto di ammirazione, era stato presente e si era manifestato attivamente.

Il concorrente e il nemico: l'animale "nocivo"

La lotta dell'Uomo occidentale al lupo è unica nella storia delle nostre relazioni con il mondo animale.

Nella preistoria, quando le comunità umane erano piccole e nomadi, sembra che i lupi non costituissero un problema. Le vaste distese di terra erano più che sufficienti perché le due specie si evitassero a vicenda e non predassero la stessa selvaggina. Il lupo ha molte somiglianze con l'uomo: come l'uomo è organizzato in società, i suoi membri possiedono un senso di solidarietà e i compiti sono suddivisi in base al posto che ciascuno occupa nella gerarchia. Il branco si raggruppa in inverno per unire le forze e cacciare grandi prede. Durante il resto dell'anno, i lupi vivono in famiglia con i loro cuccioli, nel loro territorio di caccia, che custodiscono e sfruttano, cacciando soprattutto piccole prede come uccelli, piccoli quadrupedi, anfibi o animali deboli o malati.

La situazione cambiò con l'arrivo delle comunità umane stanziali, che trasformarono l'ambiente. L'allevamento del bestiame divenne molto attraente per i lupi. Come molti altri animali che necessitano di un ampio territorio in cui vivere, i lupi abbandonarono le aree occupate dall'uomo per cercare rifugio in zone remote, che spesso significava la foresta. Tuttavia, se le loro prede abituali scarseggiavano, come nel caso dell'alimentazione dei cuccioli o durante gli inverni rigidi, uscivano dai boschi. Allora si imbatterono in una preda irresistibile, una bestia goffa, appesantita da un folto vello e incapace di difendersi: la pecora. Fin dall'antichità sono state messe in atto numerose misure per combattere il lupo: collari chiodati per i cani da pastore, caccia, trappole, avvelenamenti e persino taglie. Questi metodi sono cambiati poco fino ai giorni nostri, con l'aggiunta delle armi da fuoco a partire dal XVI secolo. Robert Delort, nella sua opera pionieristica Les Animaux ont une histoire, pone il problema come segue: "Per entrambe le parti, le cose sono chiare: per il lupo, le pecore sono prede facili e abbondanti, prudentemente concentrate in zone attraenti, dove potrà sbranare, oltre alle pecore, cani, gatti, pollame, una coriacea nonnina, una giovane bambina, una contadina gentile o un tenero pastorello. Per l'uomo il lupo è un nemico pericoloso e organizzato contro cui proteggere greggi e vittime occasionali, che incute timore per il suo aspetto e le sue malvagità e contro il quale, alla fine, ci si rende conto che la miglior difesa è spesso l'attacco, o meglio ancora la soppressione totale".

Come concorrente dell'uomo per le pecore, ma anche per la selvaggina che contende ai cacciatori, il lupo è considerato un animale nocivo. Della stessa categoria, ma molto meno odiati, sono tutti i predatori di selvaggina e gli animali che approfittano delle scarse difese degli allevamenti, dei campi, dei frutteti o dei granai umani - lince, gatto selvatico, volpe, donnola, orso, ratti e arvicole, bruchi e insetti infestanti o lontre che divorano i pesci - ma anche quelli che ostacolano l'uso del bosco, come i castori, i cui bacini artificiali ostacolano i lavori forestali. Carlo Magno, oltre al suo impegno cristiano nella lotta contro gli orsi, incluse la lotta contro questi animali nei suoi capitolari e mantenne appositi corpi di luparii contro i lupi e di beverarii contro i castori.

Ma il lupo non è solo il classico animale nocivo. Animale intelligente e opportunista, capace di percorrere rapidamente distanze considerevoli, si sposta quando ne ha bisogno, per sfuggire a un pericolo o per approfittare di un'occasione propizia. Così, mentre era praticamente scomparso dal mondo occidentale gallo-romano, è tornato in auge in seguito alle grandi invasioni barbariche. Li si vede tornare in tempi di guerre, carestie, lunghi inverni ed epidemie, ed è quindi un buon barometro della salute delle società umane. In grado di mangiare carne di morti o malati, è un eccellente pulitore di campi di battaglia o fosse comuni in tempi di peste. È anche estremamente utile per mantenere l'equilibrio degli ecosistemi e prevenire la diffusione di malattie. Ma le popolazioni del passato non la vedevano così: in un contesto già critico, il lupo aggiungeva una minaccia in più e il suo arrivo provocava terrore. Nel 1593, durante le Guerre di Religione in Francia, un capitano della Lega, Eder de la Fontenelle, si dice abbia usato i lupi a questo scopo: fece uccidere diverse centinaia di contadini e ne vietò la sepoltura, per attirare i lupi spazzini e sottomettere più facilmente il territorio.

Questa paura del lupo mangia-uomini è nata in tempi bui, quando la povertà e l'assenza di un sistema di difesa efficace trasformavano la gente comune in vittime. È poi scomparsa in tempi di pace e abbondanza. Le persone si avventuravano nella foresta senza paura e mandavano i bambini piccoli a badare alle greggi. Il lupo evitava la presenza umana e, se appariva un lupo solitario, veniva spaventato facendo rumore o agitando un bastone. Ci sono diverse testimonianze su bambini che si sono interposti con successo tra il loro gregge e il lupo, o di mucche che hanno svolto lo stesso ruolo.

Un caso particolare, tuttavia, ha talvolta riportato la paura del lupo al di fuori di qualsiasi contesto di guerra o di miseria: il lupo rabbioso. La rabbia è una malattia che fa sì che il portatore perda il controllo totale e diventi più aggressivo, spingendolo ad attaccare qualsiasi creatura vivente che incontra. I lupi colpiti non provavano più la consueta diffidenza nei confronti dell'uomo e potevano spuntare nei villaggi, attaccando indiscriminatamente gli abitanti e i loro animali, prima di essere uccisi a loro volta. Poiché la malattia era altamente contagiosa, le vittime che non morivano per le ferite diventavano rabbiose a loro volta e attaccavano i loro vicini e i loro familiari, aumentando così il terrore. La famosa "Bestia di Gévaudan", che imperversò tra il 1764 e il 1767, potrebbe essere stata un lupo rabbioso, o almeno questa è una delle ipotesi avanzate al riguardo. L'animale - lupo? Lince? iena randagia? - si pensa abbia ucciso un centinaio di abitanti del luogo e molti altri lupi, la cui caccia è stata intensificata in risposta all'evento. I mezzi di informazione del tempo si sono appropriati della storia e l'hanno trasformata in un "caso" che ha occupato la Francia per più di un anno e che è continuato fino ad oggi. Descriveva un Paese arretrato e povero, dove la gente credeva ancora nel soprannaturale incarnato da questa "bestia", il cui nome riecheggia le bestiae che evocavano il diavolo nei secoli passati.

La lotta contro il lupo ha avuto successo in Europa. In Gran Bretagna, l'animale è scomparso già nel XVI secolo. In Francia, anche sotto l'Ancien Régime, il lupo non rappresentava più un pericolo per la popolazione, come si evince dal fatto che, non appena le taglie sul lupo vennero diminuite, la gente smise di darne la caccia. Tuttavia, il lupo è ancora ufficialmente il nemico designato e ucciderlo è una buona azione. Il Gran Delfino, figlio di Luigi XIV, era un appassionato cacciatore e si dice che abbia ucciso un migliaio di lupi durante la sua vita. In L'Homme contre le loup, Jean-Marc Moriceau osserva che la guerra senza quartiere contro questo animale in Francia ha tuttavia subito una svolta decisiva nel XIX secolo - tra il 1801 e il 1826 sono stati ufficialmente abbattuti 1.800 lupi all'anno - ed è culminata nella decisione di eradicarlo completamente nell'ultimo quarto del secolo. Queste campagne mirate portarono alla scomparsa del lupo dal territorio francese alla fine della Prima Guerra Mondiale. Per lo storico, "la lunga storia di questa guerra condotta dall'uomo contro il carnivoro evidenzia le scelte sociali e i vincoli della natura. Perché al mondo non tutto è possibile, le contrapposizioni che sorgono tra gli interessi dell'uomo e quelli dell'animale non sono risolvibili. Bisogna fare delle scelte".

Fino a poco tempo fa, la società occidentale optava per l'eliminazione pura e semplice dei lupi e di altri animali definiti "selvatici" o "nocivi". Ispirato ai luparii, i cacciatori di lupi dell'antica Roma, il servizio di louvèterie creato da Carlo Magno per il suo vasto impero è sopravvissuto nei secoli fino ai giorni nostri in Francia, con un'interruzione di soli quindici anni all'epoca della Rivoluzione francese a causa di restrizioni di bilancio. Con la graduale scomparsa del lupo, questo servizio si è occupato anche dell'intera categoria dei "nocivi".

Gradualmente, tuttavia, sono state anche introdotte misure di protezione della fauna selvatica. Inizialmente emanate per preservare la selvaggina e quindi le attività di caccia - già nel VII secolo nel caso dell'uro in Europa occidentale - queste misure sono state introdotte nel XIX secolo quando è cresciuta la consapevolezza dell'importanza ecologica della conservazione della biodiversità. Il primo parco naturale al mondo è stato lo Yosemite National Park, istituito nel 1864 negli Stati Uniti, mentre in Europa è stato il Sarek National Park in Svezia, creato nel 1909. Solo nell'ultimo quarto del XX secolo sono arrivate le direttive europee che regolano la protezione delle nostre specie selvatiche, in seguito alle leggi nazionali dei vari Paesi europei. La Convenzione di Berna, o "Convenzione sulla conservazione della vita selvatica e dell'ambiente naturale in Europa", è stata firmata nel 1979. Dal 1988, in Francia, il lupo non figura più nell'elenco degli animali nocivi ed è stato dichiarato "strettamente protetto" a livello europeo dalla Convenzione di Berna e dalla Direttiva Habitat (1992).

In Francia, dove le tensioni con gli allevatori di pecore sono ancora forti, un gran numero di deroghe limita l'efficacia di questa protezione. In Italia, dove il lupo è protetto per legge dal 1971, il dibattito è meno teso, gli allevatori hanno messo in atto metodi efficaci per spaventare il lupo e proteggere le loro mandrie e l'opinione pubblica è generalmente favorevole al lupo, anche se è bersaglio di abbattimenti e bracconaggio. Tuttavia, nonostante diversi decenni di leggi e direttive di tutela e nonostante i cambiamenti nel modo di considerare questi animali, i lupi presenti sul territorio sono ancora molto pochi: si stima che siano poche migliaia in Italia e poche centinaia in Francia, per un totale di circa 20.000 esemplari in Europa. Gli eventi recenti hanno aggiunto una nuova minaccia alla specie: nel dicembre 2023, la Commissione europea ha presentato una proposta per declassare lo status di protezione del lupo da "strettamente protetto" a "protetto" ai sensi della Convenzione di Berna. L'annuncio ha scatenato un acceso dibattito tra gli oppositori del lupo, che ritengono che l'animale rappresenti una minaccia per le attività umane, in particolare per gli allevamenti, e i sostenitori del lupo, che sostengono la convivenza con l'animale e dubitano della veridicità dei dati sulle popolazioni di lupo - che non sono stati resi pubblici - utilizzati dai sostenitori della proposta della Commissione.

La nozione di "nocivo" aveva senso in una società che ignorava il funzionamento degli ecosistemi ed è importante collocarla nel suo contesto storico. Jean-Marc Moriceau la mette in questi termini: "Così come il posto degli Europei nel mondo, anche il posto dell'Uomo nella Creazione doveva essere il primo, finché non abbiamo preso coscienza della biodiversità. Dal Rinascimento, il modello di sviluppo culturale occidentale ha prodotto un'organizzazione piramidale al cui vertice l'uomo bianco ha eliminato i suoi concorrenti". Nel contesto delle attuali conoscenze scientifiche, che ci rendono consapevoli dell'utilità di molti animali predatori, il concetto di "dannoso" sta gradualmente scomparendo. Oggi sostituito dall'espressione "Espèce Susceptible d'Occasionner des Dégâts", o ESOD, [Specie che potrebbero causare danni N.d.T] e recentemente abbiamo assistito a una battaglia normativa tra chi vuole eliminare le specie selvatiche da questo elenco e chi vuole mantenerle: la volpe e il tasso, tra gli altri, fanno notizia a ogni aggiornamento delle liste delle Prefetture.

D'altra parte, altre specie un tempo pregiate e protette, come i conigli e i cinghiali, sono entrate a far parte dell'ESOD. La fauna "selvatica" è in calo e molti degli animali presenti nelle foreste odierne sono finiti, direttamente o indirettamente, nella sfera degli interessi dell'Uomo.

Fauna "secondaria" in una foresta secondaria?

Di cosa è fatta la fauna forestale di oggi? In Europa occidentale, la natura selvaggia non esiste più, poiché sopravvive solo all'interno di alcuni confini ben definiti, con numerose deroghe riguardanti lo sviluppo, la caccia o le attività economiche e turistiche, che limitano gli spostamenti naturali degli animali e spesso ne ostacolano persino la presenza di alcune specie. Così come la flora delle foreste è passata da "primaria" a "secondaria" dopo che l'Uomo si è impadronito del territorio, anche la fauna ha assunto la forma che l'essere umano le ha dato.

Nella foresta ci sono ancora molte specie autoctone; sono animali poco appariscenti ed innocui, che non hanno suscitato in noi alcun particolare interesse e che sono sopravvissuti nei secoli seguendo le trasformazioni dell'ambiente. L'influenza antropica c'è stata, ma in modo indiretto.

Ci sono anche specie importate per l'allevamento e poi sfuggite, come il visone americano, il procione, il topo muschiato e la nutria, tutti provenienti da oltreoceano.

Altri animali sono stati rilasciati intenzionalmente nella foresta, come i cervi e i cinghiali allevati per la caccia. Secondo un'indagine condotta dall'Office Français de la Biodiversité nel 2019, dei 22 milioni di animali abbattuti dai cacciatori, un quarto era di allevamento. Alcuni di questi alloctoni, come il cervo sika proveniente dall'Asia, che spesso si ibrida con il cervo rosso europeo. Altri, come alcuni fagiani, non abituati alla vita in natura e non in grado di sopravvivere; la loro popolazione viene mantenuta artificialmente, anno dopo anno, con nuove immissioni. Per quanto riguarda i cinghiali, a volte si tratta di "cochongliers", ottenuti dall'accoppiamento di cinghiali maschi con maiali femmine, al fine di aumentarne la capacità riproduttiva, con una media di otto-dieci piccoli rispetto ai 4-6 della scrofa.

Questo non senza provocare danni, visto che la proliferazione dei cinghiali nei boschi, nei campi e persino nelle città li rende ormai animali "nocivi" che possono essere cacciati 10 mesi su 12. Originari dell'Europa meridionale, i conigli sono stati introdotti in Europa occidentale nel Medioevo e tenuti nelle garennes, recinti che univano boschi e aree aperte, fino a quando non sono stati riconosciuti i danni che provocavano alle colture e ai giovani alberi per la velocità con cui si moltiplicavano. Già nel XIII secolo i conigli furono dichiarati infestanti in Inghilterra. Tuttavia si è proceduto a rilasciarne ancora diverse migliaia per la caccia, tanto che i danni arrecati da questo animale nella Vaucluse lo hanno portato ed essere inserito nell’agosto del 2023 nell’elenco ESOD. La stessa lista che comprende anche i suoi predatori, volpi e martore.

Che posto c'è per la fauna selvatica?

Il modo in cui trattiamo la fauna selvatica dipende dalla nostra comprensione della natura e dall'immaginario collettivo ereditato dai secoli passati. La legge ne è un riflesso. In Francia, gli animali sono suddivisi in diverse categorie, che ne determinano il trattamento. Nella foresta, troviamo animali protetti, che non possono essere uccisi, venduti, trasportati o posseduti, il cui elenco è stabilito per decreto; la selvaggina, il cui destino è soggetto alle norme che regolano la caccia (calendario, quote, rilasci, ecc.); e gli ESOD, il cui controllo è affidato a cacciatori e guardiacaccia e il cui elenco è di competenza dei Prefetti. Tra deroghe riguardanti gli animali protetti - come il lupo - e la selvaggina che provoca danni, la contestazione di numerose classificazioni ESOD e la messa in discussione di reintroduzioni o recuperi di specie estinte, è chiaro che l’epoca attuale non ha ben chiaro il suo rapporto con la fauna selvatica!

Oggi le nostre artificiali categorie possono sembrare obsolete. Sappiamo, grazie alle scoperte scientifiche, che un ecosistema sano si regola da sé e che i nostri interventi impediscono che questa regolazione avvenga. Sappiamo anche che senza un mondo naturale sano, noi umani siamo in pericolo. Eppure il nostro rapporto con gli animali e, più in generale, con la natura, è profondamente in contrasto con queste conoscenze. Sembriamo ignorare il fatto che le nostre azioni hanno conseguenze sulla natura e sugli animali. Accusiamo questi ultimi di danni o predazioni che in realtà sono causati da noi stessi e che potrebbero essere evitati se cambiassimo i nostri metodi. Qua e là, come nel caso della predazione del lupo sulle pecore, si stanno mettendo in atto delle soluzioni, ma notiamo che, nonostante la loro efficacia, faticano a svilupparsi ovunque. Per la filosofa Virginie Maris, uno dei problemi deriva dal nostro rifiuto di accettare l'esistenza del selvatico. In un'intervista rilasciata al quotidiano Libération nel 2019, spiega:

"Il grande progetto della modernità occidentale è quello dell'addomesticamento totale. Il carattere selvaggio degli animali selvatici è generalmente considerato una sfida o un affronto. Questo non significa che non ci siano eccezioni [...] ma nel complesso, facciamo molta fatica a vedere la natura come qualcosa di diverso da un giacimento di risorse".

La storia ci insegna che la foresta, pur non essendo sempre l'habitat preferito dagli animali che la popolano, è diventata il rifugio per eccellenza di molte specie. La domanda che ci poniamo oggi, e che sta suscitando molti dibattiti nella società, è la seguente: in un mondo in cui la specie umana ha monopolizzato l'intero spazio, essa sarà in grado, nell'interesse di tutti gli esseri viventi, compresi gli umani, di cedere alcune porzioni di territorio affinché la flora e la fauna possano viverci liberamente? Gli animali delle nostre foreste avranno un giorno una loro foresta? La nostra associazione spera di poter dare presto una risposta positiva a queste domande.

 

* Il bisonte europeo è scomparso in natura nel 1919 a Bialowieza per la sottospecie Bison bonasus bonasus e nel 1927 nei Carpazi polacchi per quella di Bison bonasus caucasicus.

** Nel 2022 sono stati contati 10.530 individui, di cui 8225 in natura (EBPG 2022).

 

Riferimenti

Robert Delort, Les Animaux ont une histoire, Seuil, 1984

Animaux perdus, animaux retrouvés, réapparition ou réintroduction en Europe occidentale d'espèces disparues de leur milieu d'origine, giornata di studio organizzata dal Groupe inter-universitaire de contact sur l'histoire des connaissances zoologiques et des relations entre l'homme et l'animal, Liège, 21 marzo 1998

Thomas Pfeiffer, Une tradition en Dauphiné, les Brûleurs de loups : 1954-1754, Bellier, 2004

Michel Pascal, Olivier Lorvelec, Jean-Denis Vigne, Invasions biologiques et extinctions, 11000 ans d'histoire des vertébrés en France, Belin/Quae, 2006

Michel Pastoureau, L'Ours, histoire d'un roi déchu, Seuil, 2007

Jean-Marc Moriceau, L'Homme contre le loup, une guerre de deux mille ans, Fayard, 2011

Virginie Maris, La part sauvage du monde, Seuil, 2018

Intervista a Libération 2019

Conferenza del CNRS: L'Animal à l'Anthropocène, dicembre 2020. Riproduzione online: https://www.inee.cnrs.fr/fr/lanimal-lanthropocene-10-et-11-decembre-2020

Raphaël Mathevet, Roméo Bondon, Sangliers, géographies d'un animal politique, Actes Sud, 2022

Sulla defaunazione e sul bracconaggio del lupo in particolare: "À la trace", le bulletin de la défaunation, n°39, associazione Robin des Bois, online: https://robindesbois.org/a-la-trace-n39-le-bulletin-de-la-defaunation/

 

Felice Olivesi

Traduzione a cura della Redazione di Cansiglio.it

Fonte: Association Francis Hallé – 27. 01. 2024