di Duccio Facchini

Fonte: Altraeconomia 01.12.2020

Gli impatti delle opere per i mondiali di sci alpino del febbraio 2021 e le Olimpiadi 2026 sono evidenti, così come le scarse prospettive dell’industria dello sci, dati i cambiamenti climatici. Ma il “modello di sviluppo” è indiscutibile.

Negli ultimi tre anni, l’attività di innevamento artificiale delle piste da sci di Cortina d’Ampezzo ha comportato il consumo di 4,2 miliardi di litri d’acqua. Un quantitativo enorme che vale pochissimo. Secondo i dati trasmessi dalla Regione Veneto ad Altreconomia, i canoni di “derivazione” dell’acqua versati nel 2017, 2018 e 2019 dalla società Ista -gestore degli impianti di risalita della località circondata dalle Dolomiti Ampezzane- e riscossi dalla Provincia di Belluno, ammontano a 19.681,62 euro (escluse le “licenze di attingimento precario”). Basterebbe questa cifra per avere un’idea di quella che Silverio Lacedelli chiama la “situazione fuori scala di Cortina”. Un modello sociale, ambientale ed economico dal futuro precario, nel quale si innesta l’industria dei “grandi eventi”. Due in particolare: i campionati del mondo di sci alpino (7-21 febbraio 2021, nonostante il Covid-19) e i Giochi olimpici invernali (6-22 febbraio 2026). Per i promotori degli appuntamenti -come la Fondazione Cortina 2021, presieduta da Alessandro Benetton- questi dovrebbero “rilanciare lo sviluppo” della “regina delle Dolomiti” e avvicinare nuovi appassionati alla montagna.

Nato e cresciuto a Cortina ed esperto di Scienze forestali, Lacedelli è tra coloro che non credono alla ricetta e, anzi, ne evidenziano i rischi per un territorio che è casa del delicato Patrimonio delle Dolomiti UNESCO. “La popolazione residente nel Comune diminuisce da anni e oggi non arriva a 6mila persone -racconta-, a fronte invece dei prezzi dei terreni e delle case che hanno raggiunto livelli insostenibili pari a 10-14mila euro al metro quadrato. Conosco tanti che per risolvere problemi economici hanno alienato le abitazioni di proprietà e si sono insediati nei vicini paesi del Cadore”. Lacedelli fa un esempio biografico: “Una volta esaurite le aree edificabili si è messo mano ai vecchi stabili di Cortina. Si sono così trasformati i masi, con stalla e fienile, che prima ospitavano una o poche famiglie allargate, in condomini di dieci o venti appartamenti. La casa dove sono nato negli anni 50 ospitava tre nuclei e dieci persone: oggi è diventata un condominio da 15 appartamenti per 80 posti letto. Un locale da 65-80 metri quadrati costa un milione di euro: ne sono stati venduti sette solo per ripagare la ristrutturazione dell’edificio. Una follia, considerando poi che in quello stabile oggi ci abita un solo residente ed è disabitato quasi tutto l’anno. Siamo una città vuota che di colpo si riempie”. In alta stagione Cortina arriva a toccare punte di 50mila presenze. Ma non basta. “Non ci accontentiamo e vogliamo sempre di più -continua con amarezza Lacedelli-. È questa la ricetta dei ‘grandi eventi’ invernali: più turisti giornalieri, impianti di risalita sempre più grandi e capienti, più persone sulle piste, più strade, più parcheggi”. Anche a costo di mettere a rischio il bene più prezioso: il paesaggio.



Lo raccontano bene gli scatti che Lacedelli fa con regolarità durante i sopralluoghi sui cantieri dei mondiali 2021, o le fotografie messe in fila nei report di aggiornamento del Club Alpino Italiano (CAI) del Veneto. Dal taglio delle piante sul tracciato Pocol-Bai de Dones, dove sorgerà una nuova cabinovia da 15 milioni di euro, lunga 4,6 chilometri, suddivisa in due tronconi, con una portata oraria pari a 1.100 persone (con possibilità di ampliarla a 1.800), agli sbancamenti e riporti per modellare la pendenza della pista “Cinque Torri” o di quelle sotto al massiccio montuoso delle Tofane. Dai solchi di erosione sulla pista “Drusciè B”, ampliata in larghezza, alla nuova e sovradimensionata viabilità in corso di realizzazione a monte di Gilardon.
E poi la storica pista “Drusciè A” -sulla quale si è disputato lo slalom speciale delle Olimpiadi del 1956- “integralmente ricalibrata e allargata a 70 metri tanto da aver quasi raddoppiato la sua superficie”, riferisce il CAI. Per giungere poi all’area di Rumerlo, dove è stato spostato a monte l’arrivo della discesa libera già esistente per aumentare lo spettacolo. Risultato: un esteso piazzale è oggi posizionato sopra una zona di frana storica in lento movimento (la Boa granda di Rumerlo). Una fonte tecnica che preferisce mantenere l’anonimato riferisce che “sul piazzale realizzato con materiale di riporto vi sarebbe stato un cedimento lineare per un fronte di 40-50 metri, con l’evidenza di uno scalino alto anche 80 centimetri. Occorre un’indagine approfondita per capire se si tratta di un cedimento di compattazione del riporto o se è un problema legato al movimento sottostante della frana principale”.

Secondo Antonio Longo, professore associato presso il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano (Dastu) dove dirige il corso di laurea magistrale in Architettura del Paesaggio, questo elenco -tutt’altro che completo- dimostra che è successo “qualcosa di inedito” per la storia della località. “Cortina sta modificando il proprio paesaggio senza cura, in modo affrettato, rincorrendo un modello sciistico determinato da regole di sicurezza delle competizioni, dalle necessità dello spettacolo, dall’accesso massivo in automobile, dai grandi flussi concentrati in pochi giorni invernali. È un modello erosivo delle risorse ambientali e di patrimoni non riproducibili che non dialoga con il suolo e il paesaggio, che non si preoccupa costruire nuove condizioni, coerenti con un’idea complessa di sviluppo, che sembra muoversi senza un progetto oltre l’evento, come è invece avvenuto in passato, ad esempio per le Olimpiadi del 1956, quando lo sport era cultura, o nelle opere di Edoardo Gellner progettate con Enrico Mattei. Non era mai successo in questi termini. C’era sempre stata una grande cura, vera o a volte di facciata, in una località sotto gli occhi dell’Italia intera. Ora invece è accaduto, e nessuno credo possa non vedere”. Con buona pace della “Carta di Cortina” che nel 2016 si era posta l’obiettivo di “promuovere il turismo alpino sostenibile”.

Per Longo, come docente e ricercatore, tutto ciò rappresenta un’urgente “domanda di ricerca” che non è limitata soltanto al prendere atto della ferita al paesaggio di Cortina. “Di fronte all’evidenza problematica dei cantieri, dei progetti, del modello di turismo proposto, della dubbia qualità architettonica e paesaggistica delle opere in cantiere, dell’incongruenza tra gli obiettivi dichiarati e sottoscritti, tra necessità di cura e logica di sfruttamento di una parte delle risorse, occorre creare uno spazio di osservazione e di progetto che riporti la qualità, il merito e la responsabilità al centro della discussione. Contrapporre strumentalmente la conservazione dell’ambiente e dei luoghi allo sviluppo, al lavoro, al progresso è fuori dal tempo oltre che sleale nei confronti delle comunità locali”. A Cortina, infatti, il dialogo, anche se conflittuale, è stato impedito a e il fronte dello sviluppo a tutti i costi procede a testa bassa. Ne è la prova -formale e sostanziale- la “solita” decisione di affidare la realizzazione del progetto sportivo dei campionati mondiali a un commissario governativo (Valerio Toniolo ha da poco sostituito Luigi Valerio Sant’Andrea).

I decreti commissariali di approvazione delle opere ne sanciscono la “pubblica utilità e l’urgenza” andando a sostituire “a tutti gli effetti ogni ulteriore parere, valutazione, autorizzazione o permesso comunque denominati necessari alla realizzazione dell’intervento”. Non che Regione o Comune siano contrari. Vale per il bacino idrico “Potor” per l’innevamento artificiale in località Cinque Torri, come per la nuova cabinovia Son dei Prade-Bai de Dones e altri “progetti”. Lo spartito è identico per l’adeguamento della viabilità nella provincia di Belluno, il vero portato dei grandi eventi. Anche qui c’è un commissario (Claudio Andrea Gemme, presidente di Anas) deputato alla “individuazione, progettazione e tempestiva esecuzione delle opere connesse” all’evento. Al giugno 2020, dei 49 interventi di “preminente interesse nazionale” previsti sulla statale 51 di Alemagna (che va da San Vendemiano, in provincia di Treviso, a Dobbiaco, in provincia di Bolzano), 22 erano stati ultimati, 23 erano in corso e quattro di “prossimo avvio”. L’imperativo era ed è portare quante più persone a Cortina, ovviamente in macchina. E pensare che fino al 1963 esisteva una ferrovia elettrificata che collegava Calalzo e Dobbiaco.

Renato Frigo, presidente del CAI Veneto, non accetta di passare per il “conservatore”, il “romantico”, l’“ambientalista da salotto”, ruoli che il partito dei grandi eventi riserva invece ai non allineati (tra questi anche Italia nostra, Mountain wilderness, WWF). “Non siamo contrari a eventi che promuovono il territorio e desideriamo una montagna con le persone. Il punto qui è un altro: i grandi eventi per pochi realizzati in questo modo producono un danno enorme all’ambiente e ci vorranno anni per assorbirlo. Siamo davvero sicuri che l’industria turistica impiccata allo sci da discesa sia il futuro?”. La domanda è centrale. “Cinquant’anni fa -continua Frigo- facevo la prima uscita con gli sci il 4 novembre, me lo ricordo ancora. Oggi invece con queste temperature andremo a sciare l’anno prossimo, se va bene”. I cambiamenti climatici sono già qui, e non solo per minor quantità di neve quanto soprattutto per la sua “durata”.

“L’incremento delle temperature dovute ai cambiamenti climatici ha incrementato in modo deciso la velocità di sublimazione della neve, soprattutto alle quote medie e nelle piste esposte a Sud”, spiega Frigo. Le stagioni sciistiche saranno quindi sempre più corte. Regione Veneto non sembra però preoccuparsene troppo, l’ultimo aggiornamento del “Piano neve” risale infatti al 2013. “Non vogliamo imparare la lezione -sospira Silverio Lacedelli-. Abbiamo abbandonato gli impianti in quota bassa e siamo saliti oltre i boschi di protezione che ci tutelano da frane, valanghe, nevicate, fin sopra il limite dei 2.000 metri”. Per alcuni la soluzione è meramente tecnologica. “Oggi riusciamo a produrre neve artificiale -2°C, ma il bilancio energetico è allucinante -continua Lacedelli-. Dalle nostre parti un singolo cannone, alimentato per lo più dall’acqua del torrente Boite a valle, ha un motore da 30 kiloWatt, cioè dieci volte un’utenza domestica. Per un chilometro di pista c’è una potenza installata da 500 kW. Abbiamo rifatto tutte le linee elettriche del paese per dare energia agli impianti”. Carlo Alberto Pinelli, presidente onorario di Mountain wilderness, ha espresso un giudizio netto a proposito di questa dipendenza: “L’imperativo degli imprenditori è quello di spremere in fretta e fino all’ultima goccia lo sci di pista con le sue devastanti infrastrutture, prima che il disastroso vicolo cieco in cui hanno cacciato le comunità locali divenga chiaro e inequivocabile per tutti”.

Le Olimpiadi del 2026 sembrano lontane. In realtà a metà settembre 2020 è stato approvato lo schema di decreto dei ministri delle Infrastrutture e dell’Economia per l’individuazione delle numerose opere infrastrutturali “essenziali, connesse e di contesto”. Per Longo non andrebbe sprecata l’occasione importante di provare a costruire un laboratorio, uno spazio di confronto e se necessario di conflitto, nel merito, “un tavolo dove non contrapporre certezze ma provare a costruire scenari nuovi muovendo da dubbi legittimi”. “Occorrono visioni di lungo termine -spiega Longo-, capaci di farsi carico del patrimonio culturale e naturale delle Dolomiti e di rendere Cortina in ogni momento dell’anno un luogo in cui vivere e soggiornare, un modello nello sviluppo e nella modernizzazione attraverso la cultura, la natura e il paesaggio”. Il suo è un approccio razionale. Tra chi cerca di svilupparlo c’è anche lo scrittore Paolo Cognetti. Da tutt’altra parte, in Val d’Aosta, ha preso più volte posizione a difesa del vallone selvaggio delle “Cime Bianche”, in alta Val d’Ayas, minacciato da un progetto funiviario (vedi Ae 224). “Sono diventato quello che rompe le palle in casa -racconta-. È difficile spostarsi dall’idea della montagna dello sci. Chi ci vive fa fatica a seguirti, abituato a seggiovia e pistarella. Non si coglie la necessità di un ragionamento su quelle località che non ce la faranno più con lo sci. Ma con gli esempi giusti, fondati, e il coraggio, forse, ci si può provare”.