Il Cansiglio, Venezia e i nuovi usi del legno (secoli XVIII-XIX)
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I mutamenti che avvengono fra Sette e Ottocento negli usi del legno, e quindi nella domanda di legname da costruzione e di legna da fuoco e carbone vegetale, provocano profonde trasformazioni nello sfruttamento del Cansiglio, bosco della zona prealpina bandito nel 1548 dalla Repubblica di Venezia per riservarlo alle costruzioni navali della marina militare. L’intensa ricerca sia di fonti energetiche che di materie prime promuove l’ingresso del bosco pubblico nel mercato: aumenta l’entità del prelievo, si moltiplicano e differenziano i fruitori del legno, si modifica il rapporto fra le essenze. Le trasformazioni nella cantieristica navale riducono l’uso dei faggi, adoperati per i remi, e incrementano quello degli abeti, usati per l’alberatura e altre parti delle navi, mentre viene allentata la rigida riserva per l’Arsenale e comincia l’utilizzazione del legno anche per altri scopi: carbone per le miniere erariali di Agordo, legna da fuoco per le vetrerie di Murano, assortimenti vari per l’esercito, tronchi di faggio per traversine ferroviarie. Inoltre legna e legname sono venduti a piccole partite alle popolazioni circostanti, mentre i grandi faggi secolari vengono ceduti ad artigiani provenienti dall’altopiano di Asiago che li utilizzano per lavori di rifenditura. Questi ultimi, i così detti «cimbri», a partire dal 1799 si stabiliscono all’interno del bosco, cosa sempre rigidamente vietata dalla Repubblica, e ne diventano gli unici residenti fissi, aumentano rapidamente di numero e moltiplicano le loro abitazioni, raggruppate in cinque villaggi. Da un lato, quindi, intensificazione della domanda di legno, mutamenti della cantieristica, cambiamenti politico-istituzionali, insediamenti antropici stabili, innovazioni nelle tecniche di trasporto; dall’altro applicazione di moderni programmi selvicolturali, centrati sull’incremento delle conifere e sull’introduzione di criteri scientificamente fondati nella gestione del bosco, promossa soprattutto dal grande studioso e tecnico forestale Adolfo di Bérenger: entrambi questi ordini di fattori concorrono nel modificare in profondità non solo le modalità del prelievo ma anche le caratteristiche strutturali dell’intero ecosistema.
INDICE
8 Fonti archivistiche e abbreviazioni
9 Misure e pesi
11 Introduzione
17 Capitolo I
Più legname per l’Arsenale
Il bosco bandito, 17; Nuovi obiettivi: ampliare il prelievo di abeti, 23; La questione delle condotte, 26; Una proposta della Pieve d’Alpago, 33; Il fallimento del progetto, 44; Zuan Antonio Ruzzini: il contratto con le compagnie conduttrici, 48; Interventi sul territorio e costruzione della segheria pubblica, 53; Primi tagli di curazione, 57; Le utilizzazioni dell’Arsenale: un tentativo di quantificazione, 62; Altri tagli: «licenze» ed interventi abusivi, 69
75 Capitolo II
Eliminare gli «inutili» faggi
Il Cansiglio nella riforma forestale del 1792, 75; Per una trasformazione radicale del bosco, 78; Una tecnica nuova per il Cansiglio: la stua , 87; Le ragioni dell’insuccesso, 95; Il periodo rivoluzionario, 99; Stato, imprenditori, popolazione, 104
113 Capitolo III
Legna e carbone: il Cansiglio come riserva di energia
Borre di faggio per le vetrerie di Murano, 113; Vetrai e mercanti, 118; Costi e prezzi, 124; Carbone per Venezia: molti tentativi, nessun risultato, 131
141 Capitolo IV
Dopo la Repubblica
Legislazione e amministrazione: continuità e innovazioni, 141; Misurare e contare: dal mito alla statistica, 145; La strada, 158; «Strada di ferro» e seghe a vapore?, 164; Tagli eccessivi e disordine selvicolturale, 169
179 Capitolo V
Il bosco e gli uomini
Insediamenti stabili: un fatto nuovo, 179; Dall’Altopiano di Asiago al Cansiglio (passando per la Carnia), 187; I talzeri e il mercato, 190; Nuovi progetti, 197; «Convertire ad utilità del bosco le braccia che lo devastano», 203
215 Capitolo VI
Nuovi usi del legno
Tecniche di trasporto: il «motore alpino», 215; Il bosco e la miniera: carbone per Valle Imperina, 225; Un nuovo mercato: gli slippers per le ferrovie, 234; Legname per il «treno militare» e la Marina da guerra, 236; Una strage di abeti: il «bostrico tipografico», 239; Le utilizzazioni: dati quantitativi, 245
253 Capitolo VII
Il «governo» del bosco
Ripopolare il bosco: semine e trapianti, 253; Vivai per il rimboschimento, 263; Un laboratorio di selvicoltura per Adolfo di Bérenger, 266; Il bosco e la scienza: tassazione e assestamento, 270
279 Documenti
Francesco Alpago, avvocato fiscale, al Podestà e Capitano di Belluno (1768), 281; Zuanne Sabbà, capitano del Cansiglio, al Reggimento dell’Arsenal (1790), 291; Clemente Doglioni all’Inquisitorato all’Arsenal (1790), 296; Giacomo Antonio Alpago e Francesco Girlesio all’Accademia degli Anistamici (1790), 311; La legislazione di riforma sui boschi di legno dolce (1791-1792), 335; Pietro Perini, capo del Capitolo dei mercanti da legname, agli Inquisitori di Stato (1793), 352; Angelo Bognolo, capitano del Cansiglio, a Marco Balbi 1° (1793), 354; Ludwig von Crenneville all’Arciduca Carlo (1801), 364; Franz Swoboda, Ispettore in capo dell’Illirico, alla Camera aulica delle finanze (1823), 365; Memoria di Giovanni Maria Magoni sul Cansiglio (1831) con note e aggiunte di Adolfo di Bérenger (1845-1857), 373; Giuseppe Sanfermo, Ispettore in capo ai boschi, al Magistrato camerale (1833), 405; Relazione dell’ing. Biagio Ducati, commissario stimatore (1836), 423; Un articolo di Bartolomeo Zanon (1837), 449; Karl Karwinsky, Ispettore in capo ai boschi, al Magistrato camerale veneto (1840), 451; Antonio Lieopopilli all’Ispettorato generale dei boschi (1850), 458; Adolfo di Bérenger, Ispettore al Cansiglio, all’Ispettorato generale dei boschi (1853), 465; Una memoria di Adolfo di Bérenger (1856), 474; Gli abitanti del bosco: tamisieri e scatoleri (1860-1866), 478; Giacomo Rigoni Stern, Ispettore del Cansiglio, all’Uffi cio dei delegati speciali per le finanze (1866), 492
501 Glossario
507 Indice dei nomi di persona
513 Indice dei nomi di luogo
INTRODUZIONE
Una delle ragioni che rendono particolarmente interessante il Cansiglio agli occhi degli studiosi di molte discipline diverse sta nel fatto che costituisce un ecosistema complesso che, apparentemente omogeneo, si presenta in realtà molto variegato ed estremamente diversificato. La mancanza a tutt’oggi di uno studio monografico organico e sufficientemente esaustivo sulla foresta, viene attribuita da Cesare Lasen proprio al fatto che si tratta di “un mosaico di comunità vegetali, un vero ecosistema nel quale la distribuzione spaziale di dettaglio propone cambiamenti significativi anche su superfici poco estese. Tali variazioni, difficilmente riscontrabili da un osservatore esterno o nel corso di rapidi sopralluoghi, sono l’espressione di successioni temporali legate ai tagli e all’evoluzione del suolo o anche ai microclimi che in un’area carsica svolgono un ruolo determinante”1. Aggiunge inoltre che gli interventi di semina e trapianto citati già nel 1831 nella memoria dell’ispettore Giovanni Maria Magoni testimoniano che «il livello di “manomissione” della foresta è stato ben superiore a quanto finora sospettato, e ciò rende giustizia dell’attuale difficoltà nell’interpretare la struttura e la composizione di alcuni popolamenti»2.
Appare significativa l’assonanza con quanto scriveva quasi un secolo e mezzo fa l’ispettore forestale al Cansiglio Giacomo Rigoni Stern, nella relazione stesa immediatamente dopo l’annessione del Veneto all’Italia: “Le condizioni d’incremento si presentano in generale assai svariate, ravvisandosi enormi differenze da una all’altra località od anche in una stessa località. Ciò, secondo il parere dello scrivente, non può attribuirsi soltanto alla relativa posizione ed esposizione della località, né soltanto alla diversa qualità e profondità del terreno od alla maggiore o minore sua adattabilità per la sovrastante essenza, ma piuttosto, nella massima parte, al sistema di governo cui fu soggetto il bosco avanti 60 anni fa”3. Con ottiche naturalmente assai differenti e con diverse accentuazioni, in entrambi questi testi si fa riferimento alla grande varietà di situazioni che il Cansiglio presenta e vengono individuati alcuni dei fattori che ne sono all’origine, da quelli microclimatici a quelli pedologici ed edafici, ma sottolineando l’importanza dell’intervento antropico. Quest’ultimo si è manifestato in modi diversi e con varia intensità prima e dopo la decisione, presa nel 1548 dalla Repubblica di Venezia, di bandire il bosco per riservarlo all’Arsenale. Ma soltanto a partire dalla seconda metà del Settecento comincia a farsi molto più attivo rispetto al passato per il concorso di varie cause: la cantieristica militare richiede maggiori quantità di materia prima; i grandi cambiamenti economici e demografici inducono un aumento della domanda di legna e legname; il clima culturale improntato alle idee illuministiche e la nascita della scienza forestale mutano la percezione del bosco e fanno ritenere possibili interventi prima impensabili. Da allora le trasformazioni sono sempre più determinate dall’azione dell’uomo, qui peraltro presente sino dalla preistoria4 : il prelievo aumenta in modo rilevante, estendendosi a vaste zone prima quasi lasciate a se stesse; ini-zia lo sfruttamento del bosco da parte di mercanti, enti, società, popolazioni circostanti e anche immigrati che si insediano stabilmente all’interno della foresta, cosa in precedenza severamente vietata; la gestione selvicolturale si fa molto più attiva, giungendo persino a programmare un mutamento delle essenze che, pur rimanendo inattuato nella sua radicale formulazione iniziale, non verrà mai abbandonato del tutto fino a tempi recenti. Quello che va dalla metà del Settecento all’annessione è quindi un periodo di particolare importanza nella storia del bosco del Cansiglio, benché sia anche il meno conosciuto, perché segna una svolta significativa: la sua evoluzione viene sempre più a dipendere da una delle sue componenti, quella antropica. Considerando il bosco come un ecosistema in continuo divenire occorre guardare alla storia dell’insieme, che comprende anche l’uomo. Egli, che fino a non molto tempo fa era visto come un attore esterno, un «fattore di disturbo» in un organismo estraneo, oggi sempre più si va considerando a tutti gli effetti, come ha affermato Pietro Piussi, «una componente dell’ecosistema e quindi interagente con le altre popolazioni e con l’ambiente fisico»5: uno degli elementi della biosfera, dunque, «anche se di tipo particolare perché in grado di controllare presenza e caratteri della copertura boschiva»6.
Nella storia del bosco gli attori umani sono tanti: non solo coloro che agiscono al suo interno o ai suoi confini, ma anche quelli che, pur senza mai mettervi piede, elaborano e perseguono scelte culturali, economiche, politiche, sociali che in modi diversi vengono ad influenzarne l’esistenza. Le comunità locali, i mercanti, ma anche le istituzioni statali e i centri di cultura, sono stati individuati come i principali protagonisti delle sue trasformazioni in studi recenti che hanno affrontato la storia dei boschi in alcune aree regionali fra Sette e Ottocento7. Sono vari i percorsi attraverso i quali studiosi di scienze umane da un lato e di scienze naturali dall’altro sono arrivati ad affrontare tematiche relative ai boschi nel loro divenire (come anche alle acque, all’energia, all’assetto idrogeologico, ai terremoti...), auspice un crescente interesse per i problemi dell’ambiente che, sorgendo spesso dalla percezione delle gravi emergenze del nostro tempo, a livello scienti?co trova nell’ecologia la disciplina di riferimento. Ne sono nati ambiti di ricerca e proposte metodologiche diverse e varia-mente definite, dall’ecologia storica alla storia dell’ambiente, dall’ecostoria alla storia dell’ecologia: o, nello specifico, dalla storia del bosco a una rinnovata storia forestale, dall’archeologia forestale alla storia ecologica dei boschi8. Nell’ultimo quarto di secolo in convegni, seminari, miscellanee, numeri monografici di riviste si sono affrontati anche in Italia molti aspetti, generali e locali, del rapporto fra uomo e bosco, mediante sia indagini mirate che dibattiti di natura metodologica, in stretto contatto con studiosi di altri paesi9. Una forte integrazione fra discipline dei diversi ambiti è realizzabile mediante percorsi di ricerca come quelli da tempo intrapresi e teorizzati da Diego Moreno che, considerando il «bosco come manufatto» e spostando l’attenzione «dal documento al terreno», ha privilegiato lo studio delle tecniche e delle pratiche di attivazione delle risorse e dei loro concreti effetti sull’ambiente, facendo ricorso al contributo di discipline diverse: dall’etnografia alla toponomastica, dalla palinologia alla dendrocronologia, dalla cartografia alla fotografia storica10. Ricerche di questo tipo rivestono grande interesse, ma non posso-no esaurire l’approccio a queste problematiche: si precluderebbe la possibilità di apporti, più legati ad altri ambiti d’indagine, che possono portare contributi importanti alla conoscenza dell’interazione fra uomo e ambiente.
Certo, almeno come esigenza di fondo, una storia dell’ambiente deve aprirsi, oltre che alle scienze umane e sociali, alle scienze della natura ed anche a quelle della struttura e della materia11. Ma chi può essere in grado oggi di do-minare campi tanto differenti? Di padroneggiare basi teoriche e metodologie di discipline tanto diverse e sempre più in corsa verso microspecializzazioni talora esasperate? Ogni ricerca sarà frutto di una scelta, dettata dagli interessi e dalle competenze dell’autore o degli autori: meglio sarebbe se si trattasse di gruppi in grado di svolgere indagini interdisciplinari, ma molte sono le difficoltà in questo campo e spesso per tali sono spacciate opere che in realtà costituiscono soltanto aggregazioni di studi specialistici. Lo storico preferisce in genere parlare di storia dei boschi, piuttosto che di storia forestale. Anche perché quest’ultima comporta competenze specifiche di tipo naturalistico e scientifico-tecnico che egli quasi mai possiede come bagaglio formativo di base e che è difficile possa procurarsi in misura rilevante. Tuttavia si occuperà di boschi anche se sa poco di botanica e di chimica, di fisiologia vegetale e di selvicoltura, di pedologia e di climatologia, di palinologia e di dendrocronologia. Sa però leggere le carte di archivio e le fonti legislative e amministrative, letterarie e iconografiche, relative ai boschi, sottoponendole ad analisi critica ed inserendole nel contesto in cui si sono formate: un contesto fatto di tendenze culturali e forme dell’istruzione, attività produttive e meccanismi dello scambio, vita politica ed elaborazione legislativa, strutture amministrative e istituzioni comunitarie, insediamenti antropici e dinamiche demografiche, relazioni fra gruppi umani e conflitti sociali. Può anche consultare fonti orali, mediante adeguate tecniche d’indagine, o rintracciare i reperti dell’archeo-logia industriale. E può anche interrogare, con metodo critico, i documenti cartacei sui saperi popolari, sui metodi tradizionali del lavoro nel bosco, sulle tecniche dell’esbosco e della condotta terrestre, su quelle della fluitazione e della segagione del legname. Lo storico può quindi acquisire sui boschi conoscenze di vario tipo, che spesso saranno molto diverse da quelle degli studiosi di scienze naturali, di scienze forestali, di geografia, di ecologia del paesaggio. Anche se costoro possono farsi storici e viceversa, alla storia dei boschi il primo e i secondi si avvicineranno in genere con approcci differenziati e porteranno contributi differenti: la ricerca non potrà che trarne vantaggi. Forse si tratterà soltanto di accentuazioni diverse.
Il naturalista sarà più portato a porre al centro dell’attenzione il bosco come insieme di organismi vegetali e animali nella loro composizione specifica e nell’interazione con l’ambiente fisico. Dovrà però riconoscere che nella sua evoluzione è stato profondamente plasmato dall’uomo, da considerare ormai come parte integrante dell’ecosistema e non un agente esterno. Lo storico, più abituato a studiare gli uomini, sarà indotto a privilegiare i gruppi umani nei loro rapporti con i boschi: dovrà farlo in sintonia con gli sviluppi più recenti delle scienze naturali e dell’ecologia e nell’ottica che considera l’uomo solo come un elemento, interagente con molti altri, dell’ambiente in cui vive. Senza dimenticare, però, che tale ottica è propria della cultura di oggi (o di una parte di essa) e che nel passato, pur non mancando consapevolezze diverse, si guardava al bosco essenzialmente come riserva di materie prime e di fonti energetiche o, in certi casi, come strumento di salvaguardia degli assetti idrogeologici. Nel presente lavoro, anche se ho cercato per alcuni aspetti la verifica sul terreno, ho privilegiato le fonti tradizionali dello storico, i documenti cartacei, conservati in quantità molto rilevante soprattutto presso l’Archivio di Stato di Venezia e fino ad ora assai scarsamente utilizzati per il periodo qui preso in considerazione. Ho riprodotto in appendice quelli che mi sono sembrati più significativi: essi, oltre a fornire una grande quantità d’informazioni, da assumere sempre con cautela, sulla foresta e sulle popolazioni che su di essa gravitavano, consentono un approccio più diretto alle idee, alle cognizioni, alle proposte, alla mentalità, al linguaggio di chi operava nel bosco e ne curava governo e coltura. Mi auguro che a tali fonti, come ai risultati dell’intero lavoro, possano attingere trovandovi elementi d’interesse anche quanti del Cansiglio si occupano sotto diversi punti di vista e con altri tipi di strumenti, avviando una collaborazione fra discipline ancora lontane che nello studio di una realtà estesa e complessa come questa hanno la possibilità di trovare numerosi punti d’incontro.