Cogliendo l’occasione di questo importante momento di confronto offertoci da ANARF si è ritenuto doveroso portare alla vostra attenzione quanto è emerso nel tempo dai tanti momenti di riflessione interni a diverse associazioni ambientaliste, siano queste riconosciute a livello ministeriale o meno.

Vanno anticipate due attenzioni prioritarie.
La nostra netta contrarietà alla legge nazionale del 2018 che sostiene un intervento sempre più invasivo delle lavorazioni in foresta mettendo in secondo piano l’ecosistemacità di questo strategico areale di vite.
La nostra assoluta contrarietà all’accorpamento del Corpo forestale dello Stato nell’arma dei Carabinieri. Riconosciamo al corpo dei carabinieri il ruolo determinate che sostiene nella difesa delle istituzioni e della legalità nel nostro paese. Ma ribadiamo la necessità per un paese civile di essere dotato di un corpo specifico di polizia ambientale e forestale, non inserito nella struttura militare, capace di esprimere una sua specifica autorevole e incisiva azione di controllo e vigilanza degli spazi non urbanizzati. E’ questa una emergenza esplosa in tutta la sua gravità durante l’ultima estate con la diffusione dolorosa e incredibile di incendi boschivi su tutta la penisola.

Entrando nel merito del convegno voglio sottolineare come, riferendosi alla crisi climatica in atto nella enciclica Laudato sì, papa Francesco così si esprima: – “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla”-.

A mio avviso stiamo sprecando non solo le opportunità di revisione del nostro modello di vita e di produzione che ci viene offerto dalla emergenza planetaria climatica, ma anche le tante opportunità che la tempesta Vaia e l’attuale distruzione forestale in atto dei boschi da parte del bostrico”, ci stanno proponendo. Ritornando, per quanto possibile, allo specifico forestale ritengo che Vaia non abbia portato riflessioni nel mondo politico, né centrale né locale, sulle gestioni forestali del passato anche recente e su come rispondere al presente. Anzi, da quanto ho raccolto sui diversi territori Vaia è stata utilizzata come opportunità per rilanciare azioni che si ritenevano culturalmente ormai superate, come il potenziamento indiscriminato della viabilità forestale (diffusione di strade camionabili, siamo arrivati alla costruzione di rotatorie in bosco, vedi Trentino), all’utilizzo e seguente promozione di macchinari non idonei alla gestione forestale naturalistica (processori, harvester, forworder). In pratica la selvicoltura impropiamente definita naturalistica è stata sottomessa al bisogno produttivo dei grandi macchinari, di certo non idonei al lavorare su terreni fragili e ripidi come quelli delle Alpi italiane o degli Appennini. I principi consolidati della selvicoltura naturalistica sono stati cancellati un po’ ovunque, è prevalsa l’azione infrastrutturale su quella della difesa naturale, idrogeologica, paesaggistica.

L’ambientalismo del Nord – est, fin da subito dopo Vaia con il convegno di Pieve di Cadore 7 dicembre 2018, aveva proposto alla attenzione collettiva 18 punti strategici sui quali impegnarsi. Non solo per recuperare l’enorme quantità di materiale schiantato e non disperderne il valore, ma anche per costruire e poi consolidare lavoro nelle vallate alpine sottoposte da anni ad un logorante spopolamento, per diffondere lavoro intellettuale basato sui monitoraggi diffusi (sviluppo delle aree schiantate, studio dei suoli e soprassuoli, fertilità e rischio di caduta del valore, fauna selvatica, recupero vegetazionale, popolamenti di insetti, modifiche delle realtà di sicurezza idrogeologica e dei regimi delle acque, modifiche anche microclimatiche) e sulla ricerca in collaborazione coordinata con le università italiane. Tutto questo avrebbe dovuto trovare maggiori incentivazioni nelle aree protette, Rete Natura 2000 compresa, per mettere in rete territori forestali con le aree protette e implementare ovunque possibile la biodiversità, sia in foresta che nei pascoli di alta quota. Perché questo avvenisse era ed è necessario un coordinamento nazionale. Nei pochi luoghi dove vi è stato un minimo o parziale investimento in questi campi ci si trova a studiare ambiti ristretti, in situazioni monitorate in base alla buona volontà di singoli proprietari pubblici e privati, o istituti universitari. Un simile scollamento progettuale, istituzionale e formativo costruisce una vulnerabilità incredibile, porta a una caduta di valore e significato di studi e riflessioni sulle conseguenze della tempesta Vaia (come dimostrato in situazioni analoghe della Svizzera anni ’90).

Vaia ha fatto emergere il fallimento degli sforzi di alcune amministrazioni lungimiranti nella strutturazione di una forte e complessa filiera del legno nazionale. Riteniamo che la responsabilità di questo fallimento vada ricercata in primo luogo nella nostra pigra imprenditoria. In secondo luogo nella frammentazione fondiaria delle proprietà e in terzo luogo nella assenza da parte dello Stato nell’intervenire con una urgente riforma delle proprietà forestali e naturali. Il tema della filiera del legno va affrontato con coraggio, da subito. Abbiamo svenduto buona parte del nostro patrimonio schiantato alle imprese straniere. Ora ci troviamo a dover acquistare a caro prezzo (aumenti che in pochi mesi hanno avuto rialzi che variano dal 50 al 200%) i prodotti finiti: nel settore del mobile, ma specialmente in quello edile. Abbiamo fatto perdere ai nostri territori valore aggiunto e lavori di alta professionalità. Oggi il mondo politico e imprenditoriale, sempre vocato a investimenti di brevissimo periodo e di consumo del patrimonio naturale, per lo più stanno riducendo il valore delle nostre foreste a banale capitale da utilizzare negli impianti di teleriscaldamento a biomasse. Invece di conservare in Italia si continua a incentivare chi brucia e annulla enormi potenziali di cattura della CO2.

Dopo Vaia, mentre i parassiti naturali del bosco stanno aggravando gli squilibri delle nostre foreste, dovremmo porre grande attenzione alla lotta contro le emissioni di CO2 e la riduzione della biodiversità: è necessario, urgente sostenere una revisione completa dei piani di assestamento locali e regionali, non solo negli areali colpiti da Vaia. Il valore da tenere come prioritario è quello della complessità del sistema ecologico di una foresta. Alcune linee di indirizzo in atto e che vorremmo rafforzate sono in pieno contrasto con quanto viene sollecitato dalla nostra imprenditoria e sostenuto a livello politico.

Noi chiediamo l’estensione degli areali di protezione, non solo per motivi idrogeologici e di sicurezza, ma specialmente per mantenere più integri e variegati possibili ecosistemi vasti.

Il potenziamento delle provvigioni per ettaro, quindi un aumento sensibile del capitale legno presente per ettaro.

Sostenere con maggiore coerenza la progettazione di strutture forestali complesse.

Evitare la costruzione di nuova viabilità forestale. Una pianificazione specifica del patrimonio di biodiversità presente in ogni particella – sezione boschiva e indicazioni chiare da rispettare tese al potenziamento di questo determinante valore naturalistico, non solo in termini di quantità.

C’è un tema che viene mantenuto ai margini del confronto, troppe volte totalmente ignorato: il rispetto delle foreste nelle aree protette. In questi due anni si è praticamente agito nel recupero degli schianti senza alcuna attenzione alle specificità dei territori sui quali si interveniva: si sono violate aree umide, spazi di rete natura 2000, zone a parco regionale. In pratica si è decretata l’umiliazione delle aree protette, incise, anche qui, da nuova viabilità forestale che nei decenni si rivelerà superflua, da strade trasformate in camionabili, da sfregi paesaggistici inconcepibili, da bonifiche di pascoli e recupero di aree forestali illogiche e del tutto insostenibili sostenute solo per poter accedere a contributi, regionali, nazionali e europei, In assenza di ogni minima progettazione naturalistica.

Il Cansiglio: foresta sperimentale

Ci troviamo nel cuore della foresta del Cansiglio. Su questo tema concludo.
Rispetto a Cansiglio la situazione principale di cui tener conto,( ma la cui consapevolezza sembra non solo attenuarsi ed è continuamente contrastata), è che si tratta di una grande proprietà forestale demaniale, cioè è una Foresta pubblica, divisa tra due regioni, Veneto e Friuli, e una grande Riserva Biogenetica di oltre 600 ettari, dello Stato, gestita un tempo dall’ex Corpo Forestale, ora dai Carabinieri Forestali. E’ forse una delle Foreste pubbliche più antiche e studiate in Italia (probabilmente già conosciuta e utilizzata dall’impero romano), visto che nel 923 l’imperatore Berengario ha donato tale bene (di un’estensione di poco superiore all’attuale), al vescovo e conte di Belluno. Significa che già prima di quell’anno era una proprietà imperiale, cioè pubblica (relativamente al periodo) e tale è rimasta fino ai giorni nostri. Quindi non c’è mai stato un usurpo che abbia tolto il Cansiglio alle comunità locali. Tra l’altro prima dell’anno 1000 le varie comunità locali non avevano un gran interesse per una grande Foresta di alto fusto di cui non sapevano che farsene, perciò la ignoravano, se non per il pascolamento estivo nella piana autorizzato dal vescovo di BL).

Il Cansiglio, ricco di questa storia, potrebbe costituire una situazione ideale per applicare localmente tutte le migliori soluzioni possibili dal punto di vista della conservazione ambientale, della tutela della biodiversità, dell’autentico turismo naturalistico, dell’educazione ambientale e della sperimentazione di una gestione il più sostenibile possibile. Essendo proprietà pubblica e di limitate estensioni, gli attuali gestori pubblici potrebbero ( teoricamente) non dover sottostare alla pressione politica e strumentale delle comunità locali. Non si auspica una imposizione “autoritaria” che non tenga conto della presenza delle comunità locali, ma autorevole nell’applicazione di soluzioni gestionali innovative, soluzioni sperimentali di valore nazionale ed europeo. Il Cansiglio come un laboratorio veramente innovativo. Questo potrebbe essere il modo migliore per seguire perpetuare nell’epoca moderna il coraggio sperimentale della repubblica di Venezia.
C’è invece il reale pericolo che queste potenzialità siano bloccate ed eliminate. Si sta assistendo ad un tentativo di progressiva erosione di questo concetto di proprietà pubblica sovra-locale e ad un costante aumento di adeguamento alle richieste locali di entrare nei processi decisionali all’interno della proprietà pubblica, almeno da parte della regione Veneto, che costituisce la parte più rilevante del patrimonio, 4500 ha su 6500 circa.
Il risultato è che i valori storici, naturalistici e sperimentali di Cansiglio assumono sempre più una connotazione economicistica e localistica.
Si continua a ripetere che in Cansiglio e in poche altre foreste gestite dalla Repubblica di Venezia sia nata la selvicoltura moderna. E’ vero (o è abbastanza vero..) ma questo non vuol dire che si debba continuare a ragionare come nel ‘600.Quella storia e tradizione gloriosa dovrebbe spingerci ad adeguare la nostra lungimiranza e intraprendenza ai temi e problemi anche planetari attuali.
Quindi il Cansiglio non o non solo come luogo di applicazione di tecniche forestali moderne (utilizzo ed esbosco), ma luogo per valorizzare gli altri aspetti della Foresta, anche a costo di comprimere una parte del valore economico. Un luogo dove le conclamate necessità planetarie tese a diminuire l’uso di combustibili fossili, stoccare nelle Foreste la CO2, salvaguardare al massimo la biodiversità, la comunicazione e l’esempio sulle buone pratiche, assuma del tutto il rilievo che merita.
Grazie alle emergenze del nostro tempo e alle urgenze di affrontarle e risolverle emerge con fora l’importanza del Cansiglio: rimanere interamente di proprietà pubblica. Portare sul mercato parti di esso, una dopo l’altra, potrebbe portare ad una vendita completa di tutto ciò che non è bosco vero e proprio: i locali pubblici, i rifugi, i vari edifici (es. le ex caserme forestali), le aziende agricole. Rimarrebbe il bosco che alcuni vorrebbe essere dato in gestione ad un consorzio di imprese boschive (quindi solo economia..), sotto il controllo di una demansionata e impoverita struttura pubblica, pallido ricordo delle gestioni forestali passate. Pascoli e foreste asservite al turismo in assenza di progettualità coraggiosa e innovativa.
E’ invece necessario un ripensamento che porti anche ad una valutazione diversa della Foresta in sè stessa, anche indipendentemente dalla presenza umana, quindi un cambio di approccio anche culturale e filosofico. Abbiamo spesso sentito ripetere il luogo comune “ la Foresta senza l’uomo muore”. Non è scientificamente vero che la Foresta senza l’uomo muoia. E’ vero il contrario, rinasce in forme nuove e più resistenti – resilienti.
Ed ora al lavoro, più uniti e consapevoli possibile del patrimonio che dovremo gestire: pensando sempre, ogni momento, a cosa lasceremo nelle mani delle prossime generazioni.

Luigi Casanova e Vittorio De Savorgnani